Sentenza n.313 del 1985

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SENTENZA N. 313

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione della disciplina del contenzioso tributario) nel testo sostituito dal d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 19 dicembre 1983 dalla Commissione tributaria di I grado di Verbania sul ricorso proposto dalla s.r.l. Nuova S.A.L.C.I., iscritta al n. 289 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 238 dell'anno 1984;

2) ordinanza emessa l'11 maggio 1983 dalla Commissione tributaria di II grado di Udine sui ricorsi riuniti proposti dalla S.p.a. Siderurgica contro l'Ufficio II.DD. di Udine, iscritta al n. 741 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39 dell'anno 1984.

Visto l'atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 ottobre 1985 il Giudice relatore Francesco Greco.

 

Ritenuto in fatto

 

A) Con ricorso in data 27 maggio 1980, Zanuttigh Erminio impugnava davanti alla Commissione tributaria di Udine un avviso di mora notificatogli dall'Esattoria II.DD. di Cardoli il 26 marzo 1980, quale debitore solidalmente responsabile con la S.p.a. Siderurgica di Remansacco.

L'adita Commissione respingeva il ricorso per difetto di giurisdizione, osservando che tale atto poteva essere impugnato soltanto davanti all'Intendente di Finanza ex art. 53 del d.P.R. n. 602/73.

La Commissione di II grado, in sede di gravame, premesso che l'avviso di mora non era previsto dall'art. 16 del d.P.R. n. 636 del 1972, fra gli atti suscettibili di ricorso alle Commissioni tributarie, il che risultava lesivo del diritto di difesa dell'intimato, cui veniva preclusa la facoltà di contestare l'avverso potere di procedere in executius, con ordinanza 11 maggio 1983 (R.O. n. 741/83), sollevava l'eccezione di illegittimità costituzionale della citata norma, in relazione all'art. 24 Cost.. In punto di rilevanza osservava che la questione era pregiudiziale alla fattispecie sottoposta al suo esame.

L'ordinanza, regolarmente comunicata e notificata, era pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 8 febbraio 1984, n. 39.

L'Avvocatura dello Stato, in rappresentanza dell'intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri, rilevava che l'autorità remittente aveva trascurato l'avvenuta sostituzione della norma impugnata con l'art. 7 del d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, ove espressamente si prevede l'impugnabilità davanti alle Commissioni tributarie anche dell'avviso di mora, non solo per far valere vizi propri dell'atto, ma anche per motivi attinenti alla sussistenza del debito o della responsabilità dell'intimato, nel caso in cui non vi sia stata preventiva notificazione dell'avviso di accertamento.

L'Avvocatura deduceva, inoltre, che la nuova norma ha, in parte qua, mero valore interpretativo, posto che, già nel vigore dell'originario testo dell'art. 16 del d.P.R. n. 636/72, doveva ritenersi consentita l'autonoma impugnabilità davanti alle Commissioni tributarie dell'avviso di mora, anche per motivi attinenti al merito dell'obbligazione tributaria, ove la notificazione dello stesso non fosse stata preceduta da quella di altro atto da tale norma espressamente menzionato nel novero di quelli ricorribili; che nel senso indicato é anche l'orientamento giurisprudenziale espresso dalla Corte di cassazione (sent. nn. 359/81 e 6262/80) e che tale orientamento é pienamente coerente con la natura propria della giurisdizione tributaria, che é non solo o non é tanto di impugnazione di atti, quanto, anche e prevalentemente, di cognizione del rapporto tributario.

B) Con ordinanza del 19 dicembre 1983 (R.O. n. 289/84), la Commissione tributaria di I grado di Verbania, adita in sede di impugnazione del provvedimento con il quale l'Ufficio II.DD. di Arona aveva dichiarato inammissibile una domanda di condono presentata ai sensi del D.L. n. 429/82 (convertito con modificazioni nella legge n. 516/82), sollevava eccezione di incostituzionalità dell'art. 16 del d.P.R. n. 636/72, nel testo novellato con l'art. 7 del d.P.R. n. 739/81, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 113, primo comma Cost..

A sostegno dell'avanzato dubbio di illegittimità l'autorità remittente premetteva che l'anzidetto provvedimento non poteva ritenersi compreso neanche implicitamente nel novero di quelli che, secondo l'impugnata norma, sono impugnabili davanti alle Commissioni tributarie; pur dandosi carico dell'opposto orientamento ermeneutico sostenuto dalla Corte di cassazione, osservava poi che l'elenco figurante in tale norma ha valore tassativo e non meramente esemplificativo, sicché non consente la impugnabilità di qualsivoglia atto che, pur non essendo espressamente menzionato, influisca comunque sulla determinazione del debito di imposta, sì da essere ascrivibile alla categoria degli "avvisi di accertamento" lato sensu intesa; che la ritenuta tassatività sarebbe ugualmente illegittima, sia che si configuri la giurisdizione tributaria come impugnazione di atti, sia che la si ritenga strumentale all'accertamento del rapporto: nel primo caso, invero, vi sarebbe violazione del principio generale di giustiziabilità degli atti amministrativi; nel secondo resterebbero arbitrariamente discriminati taluni atti i quali, pur potendo, al pari di quelli espressamente menzionati, fondare l'interesse, giuridicamente qualificato, al suddetto accertamento, non consentirebbero, tuttora, per il solo fatto della loro omessa menzione, l'ingresso alla tutela giurisdizionale.

L'ordinanza é stata regolarmente comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 29 agosto 1984, n. 238.

Anche in questo giudizio interveniva il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che depositava una memoria di contenuto sostanzialmente analogo a quello innanzi esaminato ed in particolare insisteva sull'interpretazione estensiva da dare alla locuzione "avviso di accertamento", che figura nella norma impugnata.

Le questioni sono state rimesse, per la decisione, alla camera di consiglio.

 

Considerato in diritto

 

1) La Commissione di II grado di Udine dubita della legittimità costituzionale dell'art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 in quanto non prevede l'impugnabilità dell'avviso di mora ove la sua notificazione non sia stata preceduta da quella di altri atti anteriormente impugnabili secondo la stessa norma per cui risulta leso il diritto di difesa garantito dall'art. 24 Cost..

2) La Commissione tributaria di I grado di Verbania, invece, solleva questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 16 del d.P.R. n. 636/72 nel testo novellato dall'art. 7 del d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739 in quanto nella elencazione tassativa degli atti impugnabili dinanzi alle Commissioni tributarie, in esso contenuta, non é compreso l'atto di declaratoria di inammissibilità o di rigetto della domanda di condono, nonostante la sussistenza dell'interesse del contribuente alla tutela giurisdizionale di merito del rapporto tributario. E ciò in riferimento all'art. 3 Cost., al principio generale della giustiziabilità degli atti amministrativi portato dall'art. 113 Cost. e al diritto di difesa garantito dall'art. 24 Cost..

3) Le questioni non sono fondate.

L'interpretazione restrittiva, escludente l'avviso di mora dal novero degli atti impugnabili dinanzi alle Commissioni tributarie, che la Commissione tributaria di II grado di Udine mostra di seguire anche al momento della decisione de qua, non trovava seguito né da parte dei giudici tributari, né dei giudici ordinari, compresa la Corte di cassazione.

L'indirizzo giurisprudenziale che riteneva meramente esemplificativa la elencazione contenuta nell'art. 16 citato e, quindi, la possibilità dell'impugnazione anche dell'avviso di mora, era del tutto prevalente, costante ed uniforme. Tanto che certamente esso é stato tenuto presente dal legislatore che lo ha poi codificato nel testo novellato dell'art. 16 del d.P.R. n. 636/72 (e cioé nell'art. 7 d.P.R. n. 739/81) che testualmente prevede, tra gli atti impugnabili dinanzi alle Commissioni tributarie, anche l'avviso di mora.

É opportuno ricordare, anche ai fini della decisione dell'altra questione sollevata dalla Commissione tributaria di I grado di Verbania, che il citato indirizzo giurisprudenziale, (cfr. Cass. 25 ottobre 1980, n. 6262), si é fondato anzitutto sulla considerazione che l'accertamento tributario deve intendersi come atto efficace nei confronti del soggetto passivo di imposta, conclusivo di un procedimento o di un subprocedimento di accertamento comunque denominato; di un procedimento, cioé , che accerta e dichiara la sussistenza, in tutto o in parte, dell'obbligazione tributaria o di un suo elemento e che l'accertamento di siffatto obbligo é in ogni caso impugnabile dinanzi ai giudici, in ispecie le Commissioni tributarie, qualunque sia la forma e la denominazione che ha l'atto che lo contiene.

Inoltre, si é considerato (Cass. n. 3047/84), ed anche da questa Corte (sent. n. 63/82), che l'obbligazione tributaria é una obbligazione ex lege; che l'accertamento e tutti gli atti del procedimento di riscossione sono in funzione della realizzazione dell'esazione del tributo; che il ricorso del contribuente ai giudici tributari ed ordinari é , in ogni caso, diretto a contestare la sussistenza e l'entità dell'obbligazione tributaria.

Si é osservato anche che il giudizio che si instaura riguarda sempre il rapporto tributario ed é diretto all'accertamento della sussistenza della pretesa tributaria dell'ente impositore ed, in via conseguenziale, alla pronuncia di legittimità degli atti posti in essere dallo stesso per provvedere alla riscossione coattiva dell'imposta.

4) I surrichiamati principi determinano anche l'infondatezza dell'altra questione sollevata dalla Commissione tributaria di I grado di Verbania.

La Corte osserva, in via generale, che la qualificazione come tassativa dell'elencazione degli atti impugnabili, contenuta nell'art. 7, d.P.R. n. 739/81 che ha sostituito il testo dell'art. 16 del d.P.R. n. 636/72, non é di ostacolo, nella fattispecie, all'interpretazione estensiva della norma.

Anzitutto va considerato che l'atto di cui trattasi, il quale consiste nella declaratoria di inammissibilità dell'istanza di condono tributario, non é un atto tipico del procedimento tributario, pur avendo certamente, nel caso di mancata impugnazione, l'effetto di rendere definitivo l'accertamento dell'obbligazione tributaria e della pretesa tributaria e di rendere esigibile il credito di imposta dando all'amministrazione finanziaria, in caso di mancato pagamento del tributo, la possibilità di azionare la procedura per la riscossione coattiva del credito. Inoltre, oltre alla mancanza di tipicità, l'atto de quo é di natura eccezionale per la rara ricorrenza del condono tributario. E, quindi, il legislatore non poteva certamente comprenderlo espressamente nella suddetta elencazione.

Ora però, la mancanza di una specifica previsione, sia pure giustificata e razionale, non può impedire all'interprete di ritenere il suddetto atto impugnabile in via giurisdizionale proprio in considerazione dello scopo che ha e degli effetti che produce, i quali sono quelli propri di ogni atto di accertamento per cui, in sostanza, esso é assimilabile ad uno di essi.

L'interpretazione che si compie si adegua ai principi giuridici richiamati e, cioé , alla natura dell'obbligazione tributaria, che é ex lege, allo scopo e alla direzione degli atti del procedimento tributario in cui si inserisce anche l'atto di cui trattasi, alla natura e alla finalità del giudizio tributario non potendosi minimamente dubitare che tutti gli atti che hanno la comune finalità dell'accertamento della sussistenza e dell'entità del debito tributario siano equivalenti, qualunque sia la denominazione data ad essi dal legislatore.

Essi, siccome suscettibili di produrre una lesione diretta ed immediata della situazione soggettiva del contribuente, sono immediatamente impugnabili dinanzi ai giudici tributari.

Non sarebbe certamente giustificabile, specie sul piano costituzionale (artt. 113 e 24 Cost.), la posticipazione nel tempo della tutela giurisdizionale contro gli atti successivi alla declaratoria di rigetto o di inammissibilità della domanda di condono.

Tanto più che detti atti potrebbero essere meramente eventuali e non sempre ipotizzabili.

La tutela del contribuente risulterebbe certamente aggravata e limitata.

Del resto, l'interpretazione compiuta trova conforto nella relazione ministeriale allo stesso d.P.R. n. 739/81 e, quindi, nella stessa ratio della norma. Si é ivi affermato che l'elencazione degli atti impugnabili contenuta nell'art. 7 di esso, costituisce una riformulazione più precisa dell'art. 16 d.P.R. n. 636/72; che si é tenuta presente la caratterizzazione del giudizio tributario come giudizio sul credito di imposta e sulla correlata obbligazione; che si é voluto assicurare la tutela del contribuente, in ogni caso, dinanzi agli organi più tecnicamente idonei, quali le Commissioni tributarie, e ciò in applicazione dell'art. 113 Cost..

Pertanto, le due questioni sollevate vanno dichiarate non fondate.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi (R.O. n. 741/83 e 289/84), dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 16, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, sia nel testo originario sia in quello sostituito con l'art. 7 del d.P.R. n. 739/81, sollevate rispettivamente dalla Commissione tributaria di II grado di Udine e dalla Commissione tributaria di I grado di Verbania, in riferimento agli artt. 3, 24, 113 Cost..

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 1985.

Livio PALADIN - Francesco GRECO

Depositata in cancelleria il 6 dicembre 1985.